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L’intelligenza artificiale. Forte e debole

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L’intelligenza artificiale. Forte e debole

Iniziamo questo mese un viaggio di approfondimento sui temi dell’intelligenza artificiale

di Lino Santoro

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La possibilità di creare intelligenze artificiali simili a quelle umane risale agli albori delle speculazioni filosofiche, quando ancora la scienza ne risultava indistinguibile. Da tempo si immaginano storie sull’esistenza di androidi ligi alla volontà umana o ribelli ai comandi e allo sfruttamento dei propri inventori. Si pensi solo a “Blade runner” film del 1982 tratto dal libro di Philip Dick “Gli androidi sognano pecore elettriche?”.

L’intelligenza artificiale (IA) moderna viene fatta risalire all’articolo di Alan Turing del 1950 “Computing machinery and intelligence”. Sono gli inizi dell’informatica e si ritiene possibile la realizzazione di automi e programmi intelligenti. In questa fase si intrecciano filosofia e informatica: è emblematico l’articolo di McCarthy del 1969 “Some philosophical problems from the standpoint of artificial intelligence”. Un momento importante è stata la conferenza di Dartmouth del 1956 in cui furono impostati i primi ragionamenti sul futuro e fu coniato il termine Intelligenza Artificiale. È del 1980 l’articolo di John Searle “Minds, Brains and Programs”, un tentativo di esplorare le conseguenze di questi due assunti: l’intenzionalità è una caratteristica umana, un programma informatico non è capace di creare schemi astratti che manifestino intenzionalità.

L’ IA potrebbe essere definita come il settore dell’informatica che si propone di creare macchine intelligenti, manca però una definizione univoca e condivisa di cosa sia l’intelligenza. L’Oxford Companion to the mind alla voce intelligenza dice “sono disponibili numerosi test per misurare l’intelligenza, ma nessuno sa con sicurezza cosa sia l’intelligenza e cosa effettivamente misurino i test”.

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Comunemente l’intelligenza viene definita come la capacità di eseguire compiti e risolvere problemi nuovi, di adattarsi all’ambiente e ai suoi mutamenti, di interpretare la realtà e di comunicare in particolare con la comprensione del linguaggio. Il quadro è complesso, non esattamente circoscritto. All’inizio le riflessioni sull’IA hanno privilegiato gli aspetti mentali dell’intelligenza, come la capacità di pianificare le proprie azioni e di utilizzare un linguaggio simbolico. La versione informatica appare invece più facilmente identificabile.

Da questo punto di vista vengono individuate due intelligenze artificiali: l’IA forte che si pone l’obiettivo di riprodurre esattamente l’intelligenza umana, capace quindi di stati cognitivi e di pensiero nell’esecuzione dei compiti tramite la logica matematica, di pianificare tramite algoritmi, di apprendere sulla base delle esperienze registrate (sistemi esperti) e l’IA debole che si propone di realizzare sistemi artificiali in grado di svolgere compiti simulando aspetti dei processi cognitivi umani, incapace di riprodurre autonomamente questi processi, ovvero di pensare. L’intelligenza artificiale forte sarebbe in grado di svolgere ragionamenti tipici dell’intelletto umano, pretesa che le conoscenze attuali sembrano negare. L’intelligenza artificiale debole con particolari algoritmi attua funzioni complesse, tipicamente in ambiti settoriali, di supporto ai compiti umani senza sostituirne il ruolo decisionale. Il risultato è comunque importante: è possibile operare su una gran mole di dati e in tempi molto rapidi.

Sulle dimensioni dell’impatto dell’intelligenza artificiale sui sistemi sociali è aperto il dibattito, poiché l’intelligenza artificiale, in gran parte proprietà delle lobby economiche e militari, ancorché debole può presentare un rischio per la libertà e la democrazia.

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