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Arte e storia Culture

Robert Capa, la realtà di fronte

– di Laura Paris- 

Il 22 ottobre scorso ricorreva il centenario della nascita di Endre Friedmann, in arte Robert Capa, considerato -non a torto- il padre del fotogiornalismo moderno. A celebrarne la figura, due giorni prima, l’Azienda Speciale Villa Manin inaugurava una retrospettiva curata in modo esemplare da Marco Minuz.
L’esposizione, che vanta la prestigiosa collaborazione dell’agenzia Magnum Photos di Parigi e dell’International Center of Photography di New York, propone accanto ad una scelta di 180 fotografie, una serie di filmati che documentano la meno nota attività di cineasta di Robert Capa.
L’allestimento è pensato per “mettere a fuoco” la biografia e l’attività professionale del fotografo ungherese attraverso le vicende storiche che fu chiamato a seguire. Scorrono così dinnanzi ai nostri occhi, fotogramma dopo fotogramma, gli esordi in uno studio fotografico di Berlino (una serie di immagini catturate con una Leica ad una conferenza tenuta da Lev Trotzky a Copenaghen nel 1932), i successivi anni a Parigi (città in cui si rifugia a causa delle sue origini ebraiche) e le prime esperienze come reporter di guerra.
1936: in Spagna imperversa il conflitto civile e Capa scatta una delle foto più note al mondo: Il miliziano colpito a morte, istantanea dall’introvabile negativo che, stando alla tradizione, immortala l’uccisione di un soldato repubblicano ad opera dei franchisti, ma su cui esistono pareri discordanti e su cui molto è stato scritto.
In terra spagnola morirà anche la 27enne Gerda Taro, collega e compagna di Capa, incontrata a Parigi nel 1934.

capa sicilia

“Non era necessario nessun trucco per fare delle foto in Spagna. Bastava sistemare la macchina fotografica. Le foto erano lì e si doveva solo scattare.
La verità era la migliore immagine, la migliore propaganda.”
Robert Capa
Spagna 1936, Morte di un miliziano lealista

Seguono intensi frammenti della guerra sino-giapponese (1938), dominati dalla toccante copertina di “Life” del 16 Maggio 1838.

“Poteva mostrare l’orrore di un popolo intero attraverso il viso di un bambino.”
John Steinbeck

La seconda guerra mondiale è documentata da alcune immagini colte in Sicilia, nonché dalla riproduzione dei “magnificent eleven”, cronaca del sanguinoso sbarco in Normandia che Capa, sfuggendo alle raffiche di proiettili tedeschi, seguì mescolandosi alle prime truppe americane giunte ad Omaha Beach il 6 giugno 1944.
Dei 4 rullini da 36 pose scattati, si salvarono solo 11 fotogrammi, a causa di un errore del tecnico di Life Magazine che, sbagliando i tempi di esposizione in fase di sviluppo, bruciò irrimediabilmente la sola testimonianza fotografica esistente del D-Day.  Capa definì le 11 foto superstiti “slightly out of focus” (titolo della sua autobiografia pubblicata nel 1947) e per il danno subito ricevette un risarcimento annuale a vita.
Sicilia 1943, Contadino siciliano ed ufficiale americano.                   6 giugno 1944, Sbarco in Nomandia.

“Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino.”
John Steinbeck

Seguono foto scattate in Russia nel secondo dopoguerra e a Tel Aviv nel 1948. Capa è presente in occasione della fondazione dello Stato di Israele e vi rimane a documentare gli scontri tra Arabi ed Israeliani.
Sarà di ritorno in quelle zone due anni dopo, nel 1950, per realizzare il documentario “The Journey”, racconto delle vicende degli ebrei sopravvissuti alla Shoah e giunti da ogni parte del mondo per la “costruzione” dello Stato Ebraico. Il filmato di 26 minuti, è integralmente proiettato in mostra, grazie alla collaborazione con lo Steven Spielberg Jewish Film Archive.
Ad intervallare gli orrori bellici e le sensazioni da essi derivanti, contribuisce una sezione dedicata agli amici intimi di Capa, tra cui figurano Picasso, Matisse, Hemingway, Shaw ed Ingrid Berman, sua compagna per due anni e figura grazie alla quale entrò in contatto con il mondo di Hollywood.

 

Al mondo cinematografico è dedicata un’altra sezione dell’esposizione che documenta la presenza di Capa sui set dei film “Notorious” di Alfred Hitchcock (1946), “Arco di trionfo” di Lewis Milestones (1948), “Riso amaro” di Giuseppe De Santis  (1949), “La carrozza d’oro” di Jean Renoir (girato a Roma con Anna Magnani nel 1952), “Moulin rouge” dell’amico John Huston (1952), “Il tesoro dell’Africa” (1953) e “La contessa scalza” (1953).
Dopo questa parentesi spensierata e patinata, si giunge all’ultima sala. La precede una frase di Capa: “Poco per volta mi sembra di diventare un avvoltoio. […] Il più caro augurio di un corrispondente di guerra è di essere disoccupato.”
Amaro presagio, di quanto avviene il 25 maggio  del 1954 in Indocina, dove si trova per un mese in sostituzione di un collega di “Life”. Sta documentando l’avanzare delle truppe Vietnamite tra Namdinh e Thaibinh, e come sempre lo fa in modo ravvicinato, quasi in prima linea, coerente al suo pensiero (“Se le vostre foto non sono abbastanza buone è perché non siete andati abbastanza vicino al soggetto”), quando una subdola mina, presente sul suo cammino, ne determina la prematura dipartita.
L’ultima fotografia esposta, la sola a colori, suggella la sua storia nonché questa emozionante visita. E’ stata scattata nello studio della “Magnum Photos” (fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodgers) in occasione di una delle riunioni che annualmente coinvolgono i più importanti fotoreporter dell’agenzia.
Accostata ad una parete vi è una sedia vuota, su di essa poggia una fotografia: ritrae semplicemente Capa, più precisamente lo immortala.
“Il corrispondente di guerra ha in mano la posta in gioco, cioè la vita, e la può puntare su questo o su quel cavallo, oppure rimettersela in tasca all’ultimo minuto. Io sono un giocatore d’azzardo.”

 

Laura Paris

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